Il neorealismo nel cinema si manifestò immediatamente dopo la cessazione delle ostilità presentando il suo primo capolavoro, “Roma città aperta” di Roberto Rossellini già nel 1945, cui seguirono nel settennio 1946/1953 altre fondamentali opere a tutti note.
La fotografia del dopoguerra, viceversa, si estenuò nella ricerca di uno specifico disciplinare che l’affrancasse dalla pittura e dall’indifferenza della cultura ufficiale; di conseguenza, perse l’opportunità di documentare i passaggi salienti di quei momenti straordinari per quanto questo fosse ampiamente nelle sue possibilità.
Il Manifesto pubblicato nel 1947 dal gruppo La Bussola fondato da Giuseppe Cavalli, affermava che la fotografia possedeva qualità tali da renderla autonoma da qualsiasi altra disciplina figurativa, ammonendola tuttavia di tenersi lontana «dal binario morto della cronaca» poiché «il documento non è arte».
Alla fotografia de La Bussola – una fotografia astratta, metafisica, caratterizzata dal un tono “alto” e da una grande purezza formale di ispirazione crociana – guardava tutta quella generazione di fotografi di estrazione medio borghese che si era formata nell’anteguerra; nel contempo cominciavano a farsi largo i reportage dei fotografi della F.S.A. e di LIFE, gli esponenti della scuola umanista francese, mentre in Germania Otto Steinert dettava la via per una fotografia soggettiva.
I fotografi italiani del dopoguerra si accorsero, sia pure con ritardo, che esisteva un Paese ancora da scoprire, specie nel Sud dove la fine del conflitto aveva portato in superficie la gravità di una condizione sociale per certi versi inimmaginabile. Molti di loro si avviarono dunque in questi “pellegrinaggi” a Scanno, nei bassi di Napoli, nelle solfatare di Sicilia, nei desolati paesaggi della Lucania, con spirito comunque diverso da quello che aveva mosso il neorealismo cinematografico. Tuttavia, ancorché debole sul piano ideologico, questo virare dagli empirei del formalismo diede forza alla fotografia italiana e ne rinnovò ampiamente le possibilità espressive.
Manfredo Manfroi (prefazione alla Mostra, 12 luglio 2012)